sabato, gennaio 15, 2011

Alla ricerca dei veri colori in M42

Ho trovato una foto della zona centrale di M42 (la cosiddetta Huygenian region). Questa zona è più o meno l'area che risulta visibile anche con il filtro rosso.
Se c'è una possibilità di vedere realmente i colori questa è la zona dove cercarli. In particolare la sfida è riuscire a cogliere il colore nel punto indicato con C nel link.

La foto della zona centrale di M42 è questa.



Questa foto mostra due zone in cui prevale l'emissione di Halfa, che sono: una a destra del trapezio, l'altra una struttura lineare al confine inferiore della parte più luminosa.
Va detto subito che questa foto combina le emissioni Halfa (rosso) e OIII (blu-verde) pesandole circa allo stesso modo. Infatti se separiamo i tre canali vediamo che l'intensità R, G, B è rispettivamente questa:





In realtà l'occhio umano è circa 10 volte meno sensibile in Halfa rispetto allOIII. Infatti quando si osserva la nebulosa in Halfa l'immagine vista con il filtro rosso è molto più debole. Qualche cosa come così:



In realtà con il filtro rosso si vede di più. Ma anche le immagini in OIII sono molto molto più intense (infatti si vede l'intera nebulosa e non solo la parte centrale in OII). Grossmodo il rapporto di intensità fra il rosso e il verde dovrebbe essere rispettato con la figura modifica sopra (o al più è a favore del rosso visto che nel verde la nebulosa è abbagliante).

Se combiniamo il rosso così definito, con il verde e blu iniziali otteniamo una immagine che riproduce realisticamente i colori di M42, pesando l'emissione Halfa molto meno di quella OIII in accordo con il fatto che l'occhio è sensibile in maniera diversa alle dioverse lunghezze d'onda.

Il risultato è questo. Le due aree nelle quali l'Halfa è più intenso sono di colore verde con un po' di rosso. Cioè meno verdi, biancastre. ua va indirizzata la nostra attenzione.



E' possibile vedere queste zone rosa o rosse? La risposta a questa domanda è semplice: osserviamole in Halfa, poi osserviamole in OIII. In quale dei due filtri sono più intense? Non c'è dubbio che in OIII saranno molto più intese. Quindi c'è tanto verde e poco rosso e oggettivamente non possono pendere dalla parte de rosso, saranno al più "meno verdi" o biancastre.
Però, potrebbe succedere che la dominate verde della nebulosa (per il fenomeno di compensazione del colore, spiegato anche da Gasparri) ci faccia vedere le verdi meno verdi come rosate. Resta comunque il fatto che possiamo accertarci facilmente che con il filtro OIII quelle zone sono più luminose che con il filtro Halfa. Per esempio anche in questa foto la struttura lineare sembra rossastra, ma provate a misurare i valori RGB e scoprirete che è solo "meno verde".

Ho osservato diverse volte con attenzione la struttura lineare in basso della foto e, in effetti, ha un verde un po' più tendente al bianco (volendo la si vede rosata, ma direi che bianco è più giusto in accordo con la relativa intensità di Halafa e OIII).
Non ho mai osservato la seconda (e più difficile) zona a fianco del trapezio (perché mi sono reso conto solo con questa elaborazione che esiste anche quella possibilità).

Questo è tutta la traccia di rosso (un pallore nel verde) che è possibile vedere nel punto più brillante della nebuolsa più brillante del cielo.

PS in mancanza di un filtro Halfa, è possibile usare un filtro rosso tipo W25 o W29. Questi fanno passare circa il 98% della luce rossa e tagliano quasi tutto il verde.
PPS si potrebbe anche provare con un filtro arancione o giallo, che dovrebbe deprimere il verde portandolo a un livello più vicino al rosso. In questo modo, anche se più debole, l'immagine della nebulosa dovrebbe avere i colori più bilanciati.

sabato, ottobre 30, 2010

Qualità dell'immagine e perfezione della figura di diffrazione.


Andreste a dire ad un audiofilo che per migliorare la qualità del suono del suo impianto HiFi è meglio dotarsi in registrazione di un microfono poco sensibile?
Vi guarderebbe stralunato e vi spiegherebbe che la qualità di un sistema di riproduzione è data dalla fedeltà della riproduzione all'originale. Argomenterebbe che un microfono meno sensibile non è la strada per eliminare il rumore ambientale, perchè come raccoglie meno rumore raccoglie anche meno segnale e non modifica in alcun modo il rapporto segnale rumore. Non è diventando sordi che si sente meglio.

Eppure l'idea che la qualità è la fedeltà della riproduzione, che è tanto assodata nel modo degli audiofili, sembra non essere compresa dal un bel gruppo di astrofili.
Mi è capitato di leggere, sostenuto con forza e insistenza, che un piccolo rifrattore di circa 6 cm di apertura produce immagini di diffrazione perfette, come se questo volesse dire qualità.

In realtà la perfezione della figura di diffrazione può essere usata a metro di paragone e di giudizio solo quando si confrontano aperture identiche.
La spiegazione è nella figura in apertura (cliccare sulla foto per vederla in scala più opportuna).

A sinistra abbiamo le figure di diffrazione di uno strumento perfetto di 6 cm di apertura su di una ipotetica stella doppia di circa 10" di separazione. I dischi di diffrazione, tanto perfetti, sono grandi circa 4" in diametro (la risoluzione secondo Rayleigh è il raggio del disco di Airy).
Questa è la "riproduzione" che il sistema telescopio fa della stella doppia reale, la cui immagine dovrebbe però essere quella di destra: vale a dire due punti separati da 10". Il telescopio trasforma i due punti in due dischi.
Si può argomentare che i dischi sono perfettamente circolari, ma è indubitabile che l'immagine riprodotta sia alquanto lontana e quindi non fedele all'originale.

Al centro l'immagine che potrebbe essere restituita da un telescopio con apertura 5 volte maggiore (30 cm). Anche in questo caso l'immagine riprodotta è diversa dall'originale, ma non c'è dubbio che si avvicina di più ai due punti che dovrebbe essere.

Si potrebbe argomentare che in questo caso le figure di diffrazione sono "brutte" poiché non sono simmetriche (vedere nell'immagine a scala piena cliccando sopra).
In realtà la figura di diffrazione del 6 cm è un grande disco, dovuto ai fenomeni di interferenza causati dal fatto che l'apertura è limitata, mentre nel telescopio di 30 cm la figura di diffrazione è un speckle dovuta i fenomeni di interferenza causati dalla atmosfera.
In un certo senso il telescopio di 6 cm è limitato dalla sua apertura e non è abbastanza sensibile da leggere il seeing. Esattamente come usando un microfono poco sensibile non si rileva il rumore ambientale (ma nemmeno tutti i suoni interessanti che hanno l'intensità di quel rumore).
Il telescopio di 30 cm è invece abbastanza sensibile da cogliere questi segnali.

Si potrebbe argomentare che nel caso del telescopio di 6 cm è possibile ridurre l'ingrandimento in modo da far sembrare i dischi dei punti, in questo modo ripristinando la "fedeltà" all'originale. Già... ma è abbastanza evidente che a quel punto anche le figure di diffrazione del telescopio di 30 cm sarebbero puntiformi, e lo sarebbero da un bel pezzo.
Esiste un intervallo di ingrandimenti nel quale il 30 produce già punti e il 6 cm ancora dischi, come è evidenete, per esempio riducendo l'ingrandimento a un terzo nella figura che segue.


La conclusione di tutto questo è che la perfezione della figura di diffrazione non ha significato se non è posta in relazione alla dimensione della figura. E' fin troppo facile ottenere una grande figura perfetta, così come è fin troppo facile registra un son senza rumori se si riduce la sensibilità del microfono.

Come considerazione aggiuntiva bisognerebbe dire che non solo il confronto va fatto a pari ingrandimento (a quale ingrandimento le stelle diventano punti?) ma andrebbe anche fatto su stelle che hanno la medesima intensità apparente, altrimenti di nuovo si rischia di non vedere i i problemi per mancanza di segnale.

domenica, maggio 09, 2010

21.90... per poco!

L'uscita di ieri era a rischio. Tempo perturbato per tutta la settimana, ma le previsioni dicevano che dalle ore 23 e per tutta la notte il cielo si sarebbe rasserenato. E così abbiamo rischiato.
Destinazione iniziale la Val Visdende. Quando siamo arrivati c'erano le nuvole basse che ci sono dopo la pioggia. Oltre le nuvole filtrava la luce delle stelle. Così abbiamo pensato di migrare al Peralba, 500 metri più in quota e mezz'ora di strada. Speravamo di essere fuori dalle nuvole.
Tommaso è arrivato prima di noi trovando un cielo quasi sgombro. Anche noi lo abbiamo visto lungo la strada che sale alle sorgenti del Piave, ma quando siamo arrivati eravamo nelle nuvole. Qualche cosa faceva capolino qua e là e Tommaso faceva lo slalom nella foschia.
Finalmente verso l'una e mezza di notte il cielo si è aperto. Pensando che fosse il cielo sereno in ritardo abbiamo iniziato a montare il 60 cm. Purtroppo nell'arco di 15 minuti sono arrivate altre nebbie e non si è più aperto.
In quei 15 minuti di sereno abbiamo misurato 21.90 come lo SQM (2 SQM, fra 21.83 e 22.02 con il grosso intorno a 21.88-21.92). Il cielo infatti era nerissimo e pieno di stelle. Abbiamo osservato qualche cosa ma ormai erano già arrivati dei veli.
Sono però contento di sapere che condizioni meteo favorevoli al Peralba si arriva a 21.90. La forchetta è 21.40-21.90.
Un'altra osservazione è che, quando il cielo era velato e lo SQM dava 22.30 ci si vedeva ancora benissimo.

domenica, aprile 18, 2010

Grandi aperture e alta risoluzione.


Possiedo il 60 cm da circa un pio di mesi e ho avuto modo di usarlo circa una mezza dozzina di volte in alta risoluzione. In un paio di queste occasioni ho anche fatto dei report osservativi: il 3 marzo (link) e il giorno 8 aprile (link).
Allego una fotografia del 15 febbraio (il telo paraluce era corto ma l'ho allungato). Il confronto con il GSO 8" parla da solo.

Dopo circa 6 osservazioni in alta risoluzione credo sia il momento di fare un primo bilancio. Le notti rappresentano nell'insieme una situazione di seeing tipico e nessuna di seeing particolarmente buono (lo sarebbe stato il 23 gennaio, quando ho osservato a 480x nel GSO). Il seeing migliore è stato probabilmente l'8 aprile, ma sfortunatamente (come spiegato nel report) la batteria della ventola era mezza scarica. Con questo voglio dire che si tratta quindi di prestazioni "medie" o tipiche e non di casi eccezionali, che tengono conto del seeing medio e di condizioni anche non perfette di uso.
La notte migliore, nonostante la ventola scarica, è stata forse l'8 aprile. Non ripeto la descrizione delle cpose osservate. Voglio solo fare un bilancio e alcune considerazioni in merito alle condizioni che se soddisfatte consentono di usare una grande apertura in altissima risoluzione.

L'ultima notte, il 14 aprile, ho messo di nuovo a fianco il GSO, per valutare un po' meglio il vantaggio della grande apertura. Il GSO si poteva usare su Saturno a circa 240x (da confrontare con i 480x del 23 gennaio per avere una idea della qualità del seeing rispetto alle condizioni migliori). Il 60 cm non aveva problemi, da subito, a sostenere ingrandimenti dell'ordine di 400x. Con l'andare del tempo lo strato limite sullo specchio si assottigliava (mano a mano che lo specchio andava in temperatura) e la visone migliorava ancora. La differenza più evidente era che il Saturno nel 8" a 240x sembrava piccolo e buio, mentre nel 60 cm era grande e chiaro. Le dimensioni e la chiarezza portavano con se colori e la possibilità di distinguere una infinita variazione di tonalità nelle calotte. Senza colori e a piccola scala (240x) le calotte del pianeta erano vagamente striate, ma con i colori e grande il doppio la calotta si risolveva in una serie di strisce dai colori che andavano dal giallo al bluastro una e con una striscia arancione l'altra (che era la banda più evidente anche nel 8").
Ovviamente questa descrizione, fatta di solo aggettivi, non riesce a rendere una percezione quantitativa in chi legge. Qualcuno potrebbe dire che anche lui vede "molto colorato" o "secco, netto e marmoreo" e non ci sarebbe alcuno modo di sapere "quanto" secco e marmoreo.
Per dare quindi una idea più oggettiva della qualità delle immagini che si ottengono con una grande apertura descrivo quindi la visione di Titano, il giorno 8 aprile. Il satellite, quando lo specchio si era abbastanza acclimatato, appariva come un dischetto di dimensione apprezzabile (e di un bel colore arancione). Gli altri satelliti, vicini, erano nettamente più puntiformi. Per valutare bene il senso di questa osservazione riporto in scala il disco di ariy di una apertura di 15 cm e il diametro di Titano.

Titano ha un diametro apparente di 0,8". Anche un telescopio di 15 cm ha una "risoluzione" secondo il criterio di Rayleigh di 0,8". Tuttavia occorre ricordare che la "risoluzione" secondo Rayleigh è pari al raggio che va dal centro del disco di Airy al primo minimo nell'anello nero (fra il disco e il primo anello di diffrazione). Se una sorgente puntiforme si trova a distanza di 0,8" d'arco, finisce per essere in corrispondenza all'anello buio e quindi "risolvibile, ma questo ovviamente si riferisce alla possibilità di separare due sorgenti puntiformi ed è altra cosa rispetto alla possibilità di vedere realmente il diametro di un dischetto. Il diametro complessivo del disco di Airy, infatti, è pari a 1.6" (al minimo di luce dell'anello nero). Come mostra la figura Titano è tutto ben contenuto nel disco di Airy. Ne segue che con una apertura di 15 cm per vedere Titano con un diametro apprezzabile è necessario ingrandire al punto che anche le stelle hanno un diametro anche più grande. Vale a dire che non è possibile vedere Titano come un dischetto e al tempo stesso stelle puntiformi. A dirla tutta, non è nemmeno vero che si possa vedere Titano realmente come un dischetto, perchè quello che si vede è solo un ingrossamento del disco di Airy.
Invece nel 60 cm Titano era un dischetto diverse volte più grande degli altri satelliti. E stiamo parlando di una situazione di seeing tipico (sei notti scelte senza nessuna particolare selezione nell'arco di due mesi).
Questa osservazione, che chiunque potrebbe provare a riprodurre, ovviamente sfata in maniera definitiva l'idea che che più di 15-20 cm di apertura non sia possibile sfruttare. Nessun 15-20 cm può mostrare Titano come un disco e al tempo stesso le stelle più piccole.

Ma... c'è un ma. Che cosa serve per poter raggiungere questo risultato?
1) Per prima cosa serve un'ottica di buona fattura. In particolare non deve avere bordo ribattuto e non deve essere rugosa. Entrambe le cose diffonderebbero la luce riducendo anche molto il contrasto. Questi difetti si possono produrre in lavorazioni fatte con tempi stretti. Ottiche molto lisce ne ho viste solo nelle migliori produzioni artigianali, lavorate con estrema lentezza e prolungando la fase di lucidatura molto a lungo (consiglio di leggere il gruppo Yahoo di Zambuto). Per il bordo ribattuto la questione è diversa, nel senso che anche alcune produzioni artigianali per altro lisce possono capitare con bordo ribattuto. Da notare che si tratta di due difetti che non sono facilmente visti con un interferometro.
2) Controllo termico. Il controllo termico è essenziale. Occorre costantemente verificare (sfuocando in intrafocale) lo stato delle celle convettive (link). Per l'estrazione dello strato limite uso un sistema come questo (link, altro link). Allego un paio di foto del sistema che è attualmente installato sul 60 cm.


3) Oculari. Questa in un certo senso è una sorpresa. Ripensandoci avevo già intuito qualche cosa, ma solo il 60 cm mi ha permesso di rendermene conto. Nell'ultima serata (il 14 aprile) ho usato diversi tipi di oculari e mi sono accorto che i Nagler tipo 6 producono delle sbordature di luce e degli effetti cromatici fuori asse che non sono visibili in telescopi più piccoli. A dirla in maniera più esatta, a 420x, 1,5 mm pupilla di uscita il Nagler 7 mm tipo 6 mostra degli effetti di luce simili a quelli della turbolenza (bordi non netti e bordi ricalcati di luce). In telescopi più piccoli a 1,5 mm di pupilla di uscita questi contorni di luce li avevo sempre notati, ma avevo sempre attribuito erroneamente l'effetto al fatto che l'immagine fosse "troppo luminosa e troppo piccola". Di tutti gli oculari il Nagler è quello che mostrava questi effetti in maniera più evidente, ma anche gli altri ne erano soggetti: l'ETHOS 13 e i Pentax mostravano effetti simili ma in misura meno apprezzabile. Curiosamente il Burgess da 5 mm da questo punto di vista andava meglio (o forse era favorito dal fatto che a 5 mm la pupilla di uscita di 1 mm cominciava a nascondere i bordi di luce). Fuori asse solo l'ETHOS e i pentax non introducono coma. La cosa sorprendente, però, è stato il risultato ottenuto con un pentax 21 con barlow 2,8x (400x come il Nagler 7): nessun bordo di luce. Immagine molto "secca" a 400x. La mia interpretazione è che gli oculari siano stati disegnati per telescopi di diametro inferiore e meno luminosi, e che la maggiore raccolta di luce metta in evidenza "difetti" che non possono essere nemmeno considerati tali, visto che un oculare è un perfetto bilanciamento di diversi requisiti e che sarebbe poco sensato ottimizzare gli oculari per i telescopi meno frequenti. La barlow, ovviamente, stringe il fascio ottico e rilassa lo stress per l'oculare. Nel confrontare strumenti più o meno aperti e più o meno grandi occorre quindi tenere conto che anche ottimi oculari potrebbero essere finiti in un campo di uso per il quale non sono ottimizzati (prima di passare alle conclusioni)

venerdì, febbraio 19, 2010

Dove le stelle brillano ancora.

Questo è un articolo che ho scritto per la rivista del CAI Auronzo "Quota 864" . Parla delle Tre Cime di Lavaredo, dove si potrebbe fare uno Star Party nel luglio 2010.

Ormai viviamo in un mondo senza la notte. Le nostre città sono illuminate molto di più di quanto sia realmente necessario e il risultato è che le stelle, il cielo che ha ispirato la nascita della nostra cultura, è sconosciuto ai più. Vediamo poche decine di stelle in cielo, e non conosciamo più fenomeni celesti come la Via Lattea, le piogge di meteoriti, la luce zodiacale, l’airglow, il Gegenschein.

Fig.1 - Le luci di una zona artigianale e il cielo inquinato (colore arancione) di pianura.

Chi non ha mai visto un cielo, come lo hanno conosciuto i nostri nonni, non può nemmeno immaginare che cosa siano le Stelle.
Per fortuna esistono ancora luoghi dove si può ancora vedere lo spettacolo delle Stelle, “quasi” come dovrebbe essere. Le nostre Alpi, ostili alla antropizzazione, e la gente concreta di montagna (poco incline allo stile di inutile spreco di luce che esiste in pianura) fanno si che esitano ancora dei luoghi quasi incontaminati.

Fig.2 - Panorama dell’orizzonte Sud delle Tre Cime.

Fig.3 - Panorama notturno dell’orizzonte Sud dalle Tre cime e le luci della pianura a 100 km di distanza.

Uno di questi sono le Tre Cime di Lavaredo. Dalla base delle famose montagne, a oltre 2300 metri di altezza, si gode di un orizzonte libero da Nord Est a Nord Ovest, che di notte consente di vedere anche costellazioni australi. Qualche luce, dalla pianura a quasi 100 km di distanza si vede lungo l’orizzonte, a ricordarci che la “civiltà” è dietro l’angolo. Queste poche luci che filtrano sopra 50 km di catene montuose sono sufficienti a togliere al luogo la perfezione di un tempo, ma non abbastanza da impedirci di godere lo spettacolo del Cielo.
Passando qua una notte, è possibile toccare il cielo. Nelle notti senza luna la luce delle Stelle è sufficiente per vedere. Non è buio completo. Anzi, la prima cosa che si capisce è che siamo stati fatti per vedere con la luce delle stelle. Basta solo la pazienza di aspettare almeno mezz’ora.
Giù, nella grande valle del Po che sta oltre le montagne, le luci appaiono, a questa considerazione, ancora di più esagerate. Non è difficile, di notte, armati di una bussola, riconoscere le luci di Udine, del Veneto e perfino quelle della Valle dell’Adige.
Per fortuna queste si estinguono a pochi gradi dall’orizzonte lasciando spazio allo spettacolo del cielo.
D’estate il cielo è solcato alla Via Lattea, che è la galassia dove stiamo. La vediamo dal dentro come una striscia lattiginosa che attraversa tutto il cielo. Da un cielo buio, come le Tre Cime la Via Lattea prende personalità e appare come un continuo susseguirsi di nubi di stelle, nebulose e macchie “scure”. Una di queste, in particolare, è sopra la nostra testa e d’estate. E’ chiamata il “sacco di carbone del Nord” perché ce ne sono due ancora più grandi e famosi con questo nome visibili nell’emisfero Sud. Appare come un buco nero nel mezzo della Via Lattea.
Possiamo vedere moltissime stelle, alcune molto luminose ed altre via via più deboli, che appaiono e scompaiono alla vista. Gli astronomi indicano l’intensità delle stelle con il termine “magnitudine”. Ogni magnitudine in più sono stelle due volte e mezza meno luminose. Le stelle più luminose sono dette di “prima magnitudine”. A seguire le altre. Se la notte è serena sarà facile riuscire a vedere stelle di magnitudine fino a quasi 7. Dalle nostre città se va bene si vedono quelle di magnitudine 4, che sono poche centinaia in tutto il cielo, mentre qua, fino alla magnitudine 7, ce ne sono circa 10000. A questo spettacolo se ne aggiungono altri. Per esempio nelle notti di Agosto a cavallo di San Lorenzo si può osservare una delle più famose piogge di meteoriti. Il cielo buio permette di vederle bene e in queste notti se ne possono vedere centinaia, ma anche in una notte qualsiasi le meteore non mancano (di solito una mezza dozzina a notte).
Le montagne a Nord sono maestose: ombre nere e rassicuranti contro il cielo. Il cielo verso Nord è proprio quello naturale, eppure non è buio. Il cielo naturale infatti non è del tutto buio.

Però le luci artificiali sono spesso molto più luminose e lo rovinano. Gli astrofili usano una scala per descrivere la qualità del cielo. Il grado 1 di questa scala (detta scala di Bortle dal nome di chi l’ha proposta per primo) è il cielo perfetto. Purtroppo le Tre Cime non sono più grado 1, per colpa della pianura a 100 km di distanza!.
Un cielo “Bortle 1” si trova nei grandi deserti e ci sono astrofili che vanno in Namibia per vederlo. In un cielo del genere ci sono altri spettacoli: la Luce zodiacale, la banda zodiacale e il Gegenschein sono una sottile fascia di luce che percorre tutto il cielo lungo le costellazioni (immaginiamo gli antichi che vedevano le costellazioni zodiacali evidenziate da questa luce). La luce ha origine nel pulviscolo che è presente nel piano del sistema solare fra i Pianeti. La luce zodiacale vera e propria è la parte più intensa, che si può vedere prima del crepuscolo del mattino o dopo il crepuscolo della sera, nella forma di un cono che dalla direzione del sole si estende nella direzione dello zodiaco. La luce poi continua più debole facendo tutto il giro del Cielo, e si chiama “banda zodiacale”. Nella direzione opposta al Sole si ingrossa un poco e si chiama Gegenschein.
Le Tre Cime non sono perfette abbastanza da vedere tutti questi fenomeni. Sono infatti un cielo di classe Bortle 2 o 3 (a seconda della situazione climatica). La Banda zodiacale non è più visibile, però la luce zodiacale, nella stagione propizia (autunno all’alba e primavera al tramonto) è visibile ed è anche visibile con un po’ di attenzione il Gegenschein.
Un altro fenomeno tipico dei cieli incontaminati è l’airglow. Si tratta della luminosità naturale dell’atmosfera, che diventa un chiarore verso l'orizzonte e che però si distingue dall inquinamento luminoso perché nel primo caso l'orizzonte è buio e la massima intensità di questa luce è una decina di gradi sopra l'orizzonte. Alle Tre Cime l’orizzonte Sud è rovinato dalla pianura, e a meno di condizioni climatiche particolari l’airglow non sarà visibile, ma è visibile nelle direzioni verso Nord (spostandosi dal lato del rifugio Locatelli).

Fig.4 - La Via Lattea che sorge dietro una delle Tre Cime. La montagna è illuminata dalle luci di un’auto che stava salendo, altrimenti sarebbe stata completamente nera.

venerdì, settembre 18, 2009

Il mio giocattolo nuovo

(Questo post è stato inizialmente pubblicato come resoconto sul forum Astrofili.org, quindi rieditato e pubblicato sul blog "Mammifero Bipede", ora penso che possa star bene anche qui... il taglio è meno tecnico di quello dei soliti post, spero che non "stoni" troppo)

Dopo il viaggio alle Canarie ed il risveglio dell'antica passione per l'astronomia ho passato la fine di agosto e l'inizio di settembre a combattere con un tarlo che mi rosicchiava in testa. "Ti serve uno strumento più grande", diceva quel tarlo, "devi farti un dobson, è inutile insistere a spremer fuori da un 8" quello che non ti può più dare". Tutto vero, incontestabile, se non che i problemi logistici di gestione di un telescopio più pesante ed ingombrante mi parevano insormontabili.

Tormentato dal tarlo ho provato a chiedere consigli a chi c'era già passato interpellando il forum degli astrofili italiani, col solo risultato di vedermi piovere fra capo e collo un'offerta di quelle a cui è molto difficile resistere: un 12" usato in ottime condizioni messo in vendita da un astrofilo spinto dall'inquinamento luminoso ad abbandonare l'osservazione visuale per dedicarsi alla fotografia del cielo stellato.

Ci ho ragionato su un paio di giorni, solo per realizzare che era una decisione di fondo già presa. Ho mandato al diavolo i "problemi logistici" e mi sono fatto spedire il "mostro" da Crotone. Giovedì scorso me lo sono andato a prendere alla fermata del pullman, ho chiesto ospitalità ai miei cognati per poter disporre di una terrazza e l'ho tirato su di fronte ai miei nipoti esterrefatti. L'effetto era questo:




Il "collaudo" (se così si può definire) effettuato sotto un cielo inquinatissimo di classe Bortle 8, mi ha edotto sui principali problemi dello strumento: pesi, ingombri, necessità di un frequente riallineamento delle ottiche, e tuttavia fatto solo vagamente intuire le sue potenzialità osservative. Dovevo assolutamente procurarmi un cielo decente, e contavo di averne l'occasione nel weekend

Nella giornata di sabato ho monitorato fin dalla mattina una situazione meteo decisamente non entusiasmante. L'andirivieni di nuvole, il tempo variabile, le piogge sparse, non sono riusciti a dissuadermi dal desiderio di correre a Campo Felice per mettere alla prova il giocattolo nuovo. L'incertezza climatica ed il brevissimo preavviso mi hanno spinto a rinunciare all'idea di coinvolgere altre persone, e l'unica ad accompagnarmi fin lassù è stata la mia dolce metà, Emanuela, immagino più preoccupata di pensarmi da solo in cima ad una montagna di notte che entusiasta per l'idea di una nottata osservativa (con un telescopio, oltretutto, vissuto più che altro come un nuovo ingombro dentro casa).

La scommessa sulla situazione meteo è stata totale: al momento di caricare lo strumento in macchina i nuvoloni che si andavano addensando sulla città hanno prodotto un acquazzone estivo micidiale, che ha messo a dura prova la fiducia della consorte nelle mie estrapolazioni basate su meteosat e webcam. Tuttavia lungo la strada è apparso evidente che la coltre di nubi non si estendeva alle montagne circostanti. Avevamo tutte le premesse per una soddisfacente serata osservativa.

E lo è stata. Il cielo di Campo Felice ci è apparso in una serata di grazia, anche per merito delle piogge del pomeriggio che hanno ripulito l'aria. Potrei stimarlo di classe Bortle 4, se non fosse che ormai ritengo la scala di Bortle inadeguata per i cieli d'alta quota, dove la maggior trasparenza dell'aria rende alcuni oggetti più evidenti anche in presenza di inquinamento luminoso. Per fare un esempio, allo zenith la Via Lattea nel Cigno era poco dissimile da quella osservata alle Canarie, mentre la situazione peggiorava nettamente per la parte di cielo più prossima all'orizzonte.

Ma l'osservazione al telescopio, quella era decisamente da urlo.

Il passaggio ad uno strumento di diametro superiore è sempre del suo sconvolgente (mi era già successo passando dai 4,5" del vetusto newton Skymaster 114/900 ad un diametro quasi doppio), ma non potevo immaginare l'abisso tra il mio precedente 8", strumento peraltro onestissimo, ed il Lightbridge. Il mio cielo è cambiato, il mio modo di pensarlo è cambiato, le mie aspettative sono cambiate e nulla potrà più essere come prima.

Alcune cose andranno sicuramente messe a registro. Per la prima volta ho sperimentato i problemi della stabilizzazione termica dello specchio (evidenti all'inizio, sulle immagini sfocate, le celle convettive generate dalla superficie ancora calda dello specchio primario), ed anche l'adattamento ad un puntatore Red Dot ("...Chili Peppers", come suggeriva Manu) al posto del classico cercatore non è stato proprio banalissimo: puntare una crocetta rossa tra le stelle e trovarsi gli oggetti nel campo dell'oculare è qualcosa di inaspettato persino per un astrofilo navigato.

In compenso l'accoppiata tra maggior diametro dello strumento e gli oculari a largo campo ha cambiato in maniera irreversibile la mia percezione del cielo, e penso anche quella di Manu, che forse per la prima volta è rimasta davvero affascinata dagli oggetti che stavamo osservando.

La cosa più banale da constatare è stata la differenza in quello che le dicevo lasciandole l'oculare per farla osservare. Con il precedente 8" c'era tutta una serie di istruzioni: "osserva così e cosà, dovresti vedere un oggetto di questo tipo (piccolo, grande, concentrato, diffuso, ecc...)". Ora le dicevo solo: "guarda!", ed era lei a spiegarmi cosa stava vedendo. La differenza è principalmente questa: con un 12" gli oggetti si vedono, non vanno "cercati", non vanno "intravisti", non vanno "immaginati", stanno lì e basta, prepotentemente, al centro dell'oculare.

La carrellata ha viaggiato in fretta sugli oggetti "soliti" del cielo estivo, che ormai "soliti" non erano comunque più, mostrando nuovi dettagli, sfumature, ed un rapporto diverso col fondo stellato. Le nebulose Laguna, Trifida, Omega, la Ring nebula nella Lira, il Wild Duck cluster nello Scudo, la Dumbbell, il sontuoso ammasso globulare M13 in Ercole, la galassia di Andromeda M31 col suo contorno di compagne nane, il Velo nel Cigno, una spolverata di ammassi aperti in Cassiopea, la Whirlpool galaxy M51 purtroppo già bassa sull'orizzonte... e poi, per la prima volta dopo molti anni, è iniziata la caccia a cose mai viste.

Questa è un'altra sostanziale differenza rispetto all'8", non solo gli oggetti "classici" sono molto più dettagliati ed interessanti, ma quelli "minori" cominciano ad avere un loro perché. Le minuscole galassie e nebulose che in uno strumento più piccolo mi sorprendevo anche solo del fatto che "si vedessero" (all'inizio ci si accontenta davvero di poco), ora iniziavano a mostrare forme interessanti. Persino gli ammassi globulari, archiviati fino all'altro ieri come "tutti uguali, solo un po' più grandi o piccoli", e ridotti all'osservazione di M13 che "almeno si vede qualcosa" improvvisamente erano divenuti oggetti affascinanti: più concentrati o più diffusi, nascosti dietro un velo di stelle o sospesi nel vuoto, lontani, vicini... insomma è ripartita l'esplorazione.

Ho quindi aperto sul cofano dell'auto le fotocopie del "Tirion Sky Atlas 2000.0" (n.b.: ho anche l'originale, ma teme l'umidità...) vecchie di oltre vent'anni ed in disuso da più o meno altrettanto tempo. Avevo acquistato le mappe ai tempi lontani del "114/900" per trovare le sfuggenti nebulose usando le stelle di riferimento. Poi, con l'8" ed il computerino per il puntamento assistito avevo preso l'abitudine di portarmi dietro solo degli elenchi (ed in quel modo, ora me ne rendo conto, parte della "magia" era sparita).

Il vecchio atlante, riesumato, ora splendeva di una nuova luce. Ho iniziato a puntare tutti gli oggetti non stellari riportati sulle mappe per la prima volta senza preoccuparmi che fossero troppo deboli per il mio strumento. Ne sono usciti fuori la maggior parte! La quantità di oggetti osservabili è aumentata in maniera esponenziale.

Nebulose planetarie minuscole e brillantissime, ammassi globulari, ammassi aperti, galassie, oggetti che da anni non mi appartenevano più sono riemersi dall'inchiostro delle mappe per mostrarsi come diafani fantasmi galleggianti fra le stelle. Il mio cielo è cambiato, l'antica passione, alimentata dal nuovo strumento, si è riaccesa.

Purtroppo sabato avevamo sottovalutato il freddo montano ed i suoi deleteri effetti. Dopo solo un paio d'ore, passate saltellando da una meraviglia all'altra, un vento gelido e tagliente mal contrastato da un abbigliamento troppo "ottimista" ha avuto ragione del mio entusiasmo. Quando ho iniziato a battere i denti mi sono dovuto arrendere all'impossibilità di proseguire le osservazioni.

Ma "c'est ne pas qu'un debut...", ora che ho assaporato l'osservazione "deep sky" con uno strumento finalmente adeguato penso che sarà molto difficile tornare indietro, ed almeno un fine settimana al mese finirà piacevolmente sacrificato alla rinata passione.

sabato, settembre 05, 2009

Un metodo semplice per analizzare l'inquinamento luminoso


Nell'articolo che descrive l'inquinamento luminoso delle Tre Cime manca la analisi con le curve di livello della intensità del cielo che invece avevo fatto dell'articolo relativo al Peralba (per le Tre Cime non l'ho fatto perchè penso che la notte non rappresenti la situazione tipica).
Le curve di livello erano state ottenute in Mathematica, elaborando la fotografia esportata in RAW lineare. E' però possibile ottenere qualche cosa di simile in maniera semplice: basta trasformare la fotografia in 16 livelli di grigio. La foto qua sopra è l'esempio. Rispetto a Mathematica si perde la associazione livelli-intensità superficiale, ma questo tipo di elaborazione è comunque utile per capire fin dove l'inquinamento luminoso si propaga e da che direzione viene.
Per esempio nella elaborazione qua sopra si può facilmente distinguere il domo di luce di Udine separato dal gruppo della pianura Veneta. Si vede anche, nonostante l'orizzonte libero renda più evidente il domo di Udine, che quelli della pianura Veneta si estendono un po' più in alto e su un arco più ampio dell'orizzonte. Quindi il grosso dell'inquinamento luminoso alla Tre Cime arriva dalla pianura Veneta. Dal sito di osservazione l'orizzonte in quella direzione è un po' nascosto e quindi forse la cosa si nota meno. Tuttavia è chiaro che qualche centinaio di metri più in alto l'aria è illuminata per la maggior parte proprio da questa sorgente.
Questo conferma le mappe di Cinzano, che dicono che più si va verso Est (via dalla pianura) e meglio è (meglio ancora sarebbe andare a Nord Est).
E' interessante anche osservare come il domo di luce di Auronzo e quello di Misurina non arrivino nemmeno all'orizzonte.